Italia condannata dalla CEDU: il permesso di soggiorno per motivi famigliari doveva essere riconosciuto al partner same-sex

Con la decisione Taddeucci e McCall contro Italia del 30 giugno, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per non aver concesso al partner omosessuale (straniero extra UE) stabilmente convivente con un cittadino italiano, il permesso di soggiorno per motivi familiari.


I fatti risalgono al 2009: prima, dunque, della “svolta” realizzata, sulla scorta della giurisprudenza di alcuni Tribunali di merito, dalle Prefetture di numerose città d’Italia.
La Corte afferma, in particolare, che la decisione di trattare – all’epoca dei fatti – le coppie omosessuali alla stessa stregua delle coppie eterosessuali non coniugate, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno, costituisce una discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale nel godimento del diritto alla vita familiare garantito dall’art. 8 della Convenzione.
Infatti, la circostanza che la coppia non potesse accedere ad alcuna forma di regolamentazione dell’unione rende impossibile ritenere giustificata l’omologazione di trattamento rispetto alla coppia eterosessuale.
Per altro verso, l’assenza di riconoscimento e regolamentazione delle unioni omosessuali – radice della discriminazione – non è giustificata da alcuno dei motivi “solidi e imperativi” alla luce dei quali deve essere valutato l’eventuale trattamento differenziato delle coppie omosessuali.
Tale non è, in particolare, l’obiettivo di tutela della “famiglia tradizionale”, invocato – all’epoca – dal Governo italiano.

(nota di Angelo Schillaci per articolo29.it)

Il testo della sentenza (in francese)

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